Crediti
con Alessandro Mor e Alessandro Quattro
scenografie Giuseppe Luzzi
disegno luci Stefano Mazzanti
scenotecnica Alessandro Calabrese
consulenza filosofica Silvia Mazzini
aiuto regia Gianni Rossi
drammaturgia e regia Angelo Facchetti
foto di scena Mario Barnabi
produzione Teatro Telaio e CTB - Centro Teatrale Bresciano
La trama
La sera del 22 giugno 1938 l'incontro di boxe tra il tedesco Max Schmeling e l'americano Joe Louis assurge ad emblema della lotta tra il nazismo in ascesa e la democrazia occidentale.
Riviviamo attraverso occhi appassionati il mondo della boxe degli anni '20 e '30 ma più che soffermarci sull'epica della nobile arte del pugilato poniamo l'accento su come quasi cento anni fa un evento sportivo di portata mondiale sia stato manipolato, enfatizzato e strumentalizzato a fini propagandistici da due regimi contrapposti.
Lo scontro sul ring tra i due campioni sportivi assume nell’immaginario collettivo i contorni di una lotta tra civiltà dove la giovane democrazia statunitense finisce con il mostrare la sua fragilità e le sue contraddizioni, celando a fatica le tensioni sociali e le questioni razziali irrisolte.
In un serrato montaggio alternato assistiamo alla inesorabile macchina propagandistica del regime nazista che muove dalle pagine del "Mein Kampf" per arrivare alla meticolosa messa in scena ideata da Goebbels, pronta a enfatizzare, celebrare, distorcere e occultare persone e fatti a seconda delle esigenze del momento.
In un'epoca dove la comunicazione scopre nuove velocità attraverso i media frutto delle conquiste tecnologiche del primo '900 quali la radio e i cinegiornali, in un'epoca nella quale proliferano i quotidiani e le riviste di settore dai molteplici orientamenti politici e religiosi, l'uomo comune viene subissato di informazioni spesso contraddittorie, mai univoche.
Anche l'evento sportivo, l'incontro stesso, viene privato della sua aura di spontaneità a causa del torbido mondo in cui è immerso: le scommesse, il malaffare, gli interessi politici e propagandistici dell'una e dell'altra fazione.
L'incredibile quantità di fatti, accadimenti e opinioni che accompagnano il pre e il post dell'incontro anziché avvicinare lo spettatore ad una visione esaustiva e fedele della realtà scaturisce l'effetto opposto: l'eccessiva mole di informazioni lo allontana dalla possibilità di conoscere la realtà dei fatti.
L'unico elemento di verità rimane forse l'amicizia tra due uomini: due combattenti, rivali sul ring ma al contempo esseri umani che sapranno superare tutte le barriere costruite attorno alla loro vicenda per incontrarsi e aiutarsi nel momento del bisogno, nella vita reale, ad anni di distanza da quei giorni
così gloriosi e nefasti.
stampa e commenti
"Il buon teatro avvicina, interessa, incuriosisce. Il buon teatro, insomma, diviene preziosa occasione di approfondimento, anche - soprattutto - quando i temi trattati non sono pop o troppo conosciuti. Sconosciuta a molti è la vicenda di Max Schmeling e Joe Louis. Almeno, sconosciuta ai non appassionati di boxe. Eppure la loro storia, interpretata da Alessandro Quattro e Alessandro Mor, è bellissima, triste ed emblematica, emozionante e importante. Angelo Facchetti, drammaturgo, ha preso la storia di Schmeling e Louis, riassumendola magnificamente e lasciando ad emblema un loro incontro, quello del 22 giugno 1938. (...) La regia, affidata ad Angelo Facchetti con l'aiuto di Gianni Rossi, è semplice ed evocativa, con il palco che diviene ring, angolo di radiocronaca ed eterno spazio di narrazione. Alessandro Mor e Alessandro Quattro sono gli allenatori, i sostenitori, i cronisti contrapposti, perché l'intero spettacolo si gioca proprio sulla contrapposizione, sul tifo e sul dibattito, il tutto narrando la storia dei pugili attraverso la loro vera vita, fatta di ascese e cadute, di eccessi e di morigeratezza, di imposizioni dall'alto e di scelte personali" (Sara Polotti, Giornale di Brescia, 04 novembre 2019)
"Angelo Facchetti è molto abile a costruire una drammaturgia in cui si confrontano due narratori che, nel corso del racconto, diventano anche i due protagonisti; riesce così a fornire una visione esterna e un quadro storico, ma ad entrare anche dentro i personaggi. Il tema che emerge prepotente è quello del razzismo: non solo quello istituzionalizzato dalla Germania hitleriana, ma anche quello radicato nella società bianca americana pronta a portare Joe Louis sugli altari e a scaricarlo non appena l’idolo non servirà più. La narrazione è appassionante e piena di ritmo, merito anche dei due bravissimi interpreti, Alessandro Quattro e Alessandro Mor: l'uno esprime la "posizione" tedesca, l'altro quella americana, e tutti e due sanno metterci quel tanto di ironia che smaschera la retorica; il tono non è mai predicatorio, sono i fatti a parlare; e alla fine, quando i due pugili si trovano sul ring, l'incontro diventa un muto movimento di danza in cui quello che resta è l'umanità di entrambi, il loro essere uomini." (Francesco De Leonardis, Bresciaoggi, 06 febbraio 2020)
"La scenografia essenziale ma ricca di fantasia, partorita da Giuseppe Luzzi, cala gli spettatori fin da prima dell’inizio dello spettacolo, con il sottofondo del blues arcaico ma genuino degli anni ’30 e i due interpreti della pièce che attaccano manifesti d’epoca su un muro grigio, nella giusta atmosfera anteguerra; il tutto a sipario rigorosamente aperto e luci di sala ancora accese, mentre il pubblico prende posto e scambia le ultime chiacchiere. Alessandro Mor e Alessandro Quattro (bravi e ormai affiatatissimi tra loro) impersonano le due diverse campane (quella yankee e quella nazista) della narrazione di un’epopea non solo sportiva, sapientemente indolenti e confusionari e simpaticamente cialtroni. Due accattivanti imbonitori che camminando in difficile equilibrio su due fili sottili ma resistenti (quello della narrazione storica e quello della provocazione politica e filologica) riepilogano con stupefacente leggerezza e scioltezza una vicenda intricata in cui, a più riprese, si confonde una credibile individuazione di chi sia la marionetta e chi il burattinaio. Semplicemente impeccabile la regia di Angelo Facchetti (ottimamente coadiuvato da Gianni Rossi) capace di “licenziare” il pubblico divertito e molto più informato di quando ha messo piede in teatro. Impresa non facile, salutata dal palese e caloroso consenso di un lungo e convinto applauso." (Patrizio Pacioni su Cardona, 4 febbraio 2020)
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