Buonasera signor G
Crediti
regia Carlo Roncaglia
con Carlo Roncaglia
e con Andrea Cauduro chitarre | Enrico De Lotto basso | Matteo Pagliardi batteria
testi e musiche Giorgio Gaber, Sandro Luporini
arrangiamenti Accademia dei Folli
scene Matteo Capobianco
costumi Carola Fenocchio
luci Mattia Tauriello
produzione Accademia dei Folli
La trama
Il teatro canzone di Giorgio Gaber
“Il signor G è un signor Gaber, che sono io, è Luporini, noi, insomma, che tentiamo una specie di spersonalizzazione per identificarci in tanta gente. G.Gaber”
Più che un omaggio al papà del teatro canzone, lo spettacolo è un viaggio che segue un impulso, un istinto; di fronte all'immensa opera di Gaber e Luporini ci si sente un po' persi e disorientati e soprattutto folgorati dalla straordinaria, e a volte straziante, attualità dei monologhi e delle canzoni.
Gaber si affacciava sul ciglio di un baratro. Oggi ci troviamo in quel baratro e siamo in caduta libera. E allora ci siamo davvero abbandonati anche noi in questa caduta libera, con tutta l'incoscienza a disposizione, senza aver paura di sbagliare, di mostrare il fianco, di risultare inadeguati, inadatti. E lo siamo senz'altro, in tutti i sensi. In fondo è tutta una questione di fragilità, di saper accettare il disequilibrio, di non aver troppo timore di guardarsi davvero. Il fatto è che il Sig. G non è un personaggio. Il Sig. G siamo proprio noi.
Da un marciapiede di una città semi-deserta e buia alla penombra di una camera da letto, dallo spazio soffocante di un ascensore allo specchio del proprio bagno, eccoci a fare i conti con la nostra meschinità, con le nostre più profonde contraddizioni, con le nevrosi e le frustrazioni quotidiane. Ma non è solamente una questione di sopravvivenza: Buonasera Sig. G parla anche di speranza, di un sogno che per quanto rattrappito è ancora lì, nutrito artificialmente e tenuto in vita con un accanimento terapeutico disperato. Ha il polso debole e respira a fatica ma, nonostante tutto, è ancora vivo, l'uomo.Abbiamo scelto accuratamente i testi e le canzoni ascoltando prima di tutto la pancia (come avrebbe detto Gaber stesso) e poi cercando il senso, il disegno finale. Ad ogni replica questa ricerca continua, ogni volta troviamo un senso differente e il disegno ci appare diverso.
Cinico, scanzonato, violento, ironico, Gaber è ancora lì, sul palco, che oscilla dinoccolato cantando le paure e le speranze, le frustrazioni e l'incertezza del vivere, aspettando il momento giusto per spiegare le ali e spiccare il volo.