Senza parlare
Crediti
scritto e diretto da Lisa Moras
con Caterina Bernardi e Alessandro Maione
sound, lighting and projection design BIAS
scenografia e costume Stefano Zullo
produzione SpkTeatro/Teatro Verdi Pordenone e Centro Benedetta d’Intino
con il sostegno di Fondazione Friuli
comunicazione Martina Coral
distribuzione Anna Romanin
La trama
Senza Parlare è la storia di due fratelli, Marco e Sara, che si amano, che si odiano, che litigano, che crescono. È la storia di come finiamo per riconoscerci nell’altro. È la storia dolce amara di un affetto che non è scontato. È il racconto semplice delle difficoltà che abbiamo tutti per farci capire. È un invito ad essere presenti a sé stessi. È anche una storia di disabilità. Che non è la storia della protagonista ma la sua condizione.
Sara compie 18 anni, oggi è il suo compleanno. Il giorno in cui dovrebbe di diritto accedere all’età adulta è quello in cui suo fratello maggiore, Marco, diventa suo tutore e decide di organizzarle una festa. Sara però non ha nessuna intenzione di festeggiare. È arrabbiata, di quella rabbia tipica dell’adolescenza deflagrante e furiosa eppure necessaria e giusta. Non vorrebbe la festa o per lo meno non la vorrebbe come suo fratello la sta organizzando, come sta organizzando tante cose per la sua vita. Sara vorrebbe poter dire qualcosa ma non riesce perché Sara è disabile, non può parlare, non può usare i gesti e dipende completamente dagli altri. Le vengono in aiuto una serie di supporti che le permettono di comunicare. Ma cosa succede quando l’attenzione del fratello diminuisce, quando la voce di Sara non viene ascoltata? La parabola di un giorno per raccontare una vita di difficoltà e simboleggiare il percorso di un’intera esistenza in salita in cui i piccoli desideri, i bisogni, le incomprensioni tipiche di tutti devono essere affrontate in un contesto di condizione estrema, in cui ogni piccola vittoria è gigantesca e ogni conquista è reale, sudata, voluta.
Lo spettacolo parla di comunicazione e relazione e lo fa raccontando una vicenda nel più classico dei contesti, quello familiare ed espone il più classico dei conflitti, quello adolescenziale, ma lo fa scalando una montagna, quella della disabilità, una montagna che dovrà essere scalata ogni giorno e ogni giorno ancora e ogni giorno ancora a venire.
Il progetto nasce da un incontro, quello fra Lisa Moras e il Centro Benedetta d’Intino
Onlus di Milano. Il centro è specializzato nella pratica della Comunicazione Aumentativa
Alternativa e si occupa di fornire ogni tipo di sostegno alle persone con problemi di
comunicazione gravi.
L’idea è quella di usare il teatro come strumento per sensibilizzare rispetto al tema della disabilità comunicativa e porre l’accento sulla Comunicazione Aumentativa Alternativa e sul potentissimo impatto che ha avuto nella vita di chi la pratica.
Note di regia e drammaturgia
Per la scrittura e la regia di questo spettacolo mi sono posta tre obiettivi principali: raccontare il mondo della disabilità con leggerezza e senza pietismi; restituire la complessità del lavoro di chi opera in questo ambito in maniera non didascalica; raccontare una vicenda che non parlasse solo di disabilità, ma che attraverso la disabilità fosse in grado di parlare a tutti. La scrittura si è sviluppata nel tempo attraverso interviste, studi, viaggi di scoperta. Il primo obiettivo drammaturgico si è snodato quando dopo decine di interviste di rapporti familiari genitori/figli sono incappata nella testimonianza - a cui sono seguite svariate interviste - di un fratello maggiore che si occupava della sorella minore. Il rapporto fratello/sorella, pur rimanendo nell’ambito familiare avrebbe permesso di strutturare un gioco alla pari, quantomeno anagrafico: due giovani a confronto con prospettive molto diverse della vita, legati da un vissuto comune con la possibilità di mettere in scena scontri, incomprensioni, litigi e riappacificazioni. Il secondo obiettivo si è snodato quando ho incontrato Elena l’operatrice che per prima è stata in grado di fare con me ciò che fa quotidianamente con i propri pazienti, piazzarmi sul naso nuovi occhiali con cui comprendere ciò che avevo davanti, un viaggio creativo, fatto di prove, tentativi, possibilità. Questo punto di vista ha condizionato moltissimo anche le scelte registiche. Il terzo e fondamentale snodo è arrivato quando ho incontrato gli scritti di Michael Williams, affetto da paralisi cerebrale di tipo spastico, un corpo immobile con un pensiero estremamente vitale. Le sue conferenze e i suoi scritti fortemente autoironici mi hanno fatto trovare non solo il corpo e la voce di Sara, ma anche e soprattutto il cuore universale del tema, il bisogno che abbia tutti di essere capiti nel profondo, perché le parole non sempre bastano.
La drammaturgia mette quindi in scena due personaggi e mezzo più uno, il mezzo personaggio è la sedia assistita vuota che evoca il corpo di Sara e simboleggia la disabilità, una sedia alla quale Marco si rivolge per tutto il tempo, un’attrice dà voce e corpo al pensiero di Sara, vitale ed energico, una diciottenne che vuole essere ascoltata, fragile, mutevole, capricciosa e ostinata. Poi c’è la scenografia che diventa personaggio e che evoca il mondo degli ausili, è la voce reale di Sara ed esprime anche il suo mondo interiore predisponendosi a passaggi drammaturgici fatti di immagini, racconti di ombre e videoproiezioni che esplorano ed esplodono il non detto di chi non ha voce e non sa neanche come dire a sé stessa cosa prova. Come tutti noi alla fine.
La drammaturgia si fonde quindi con la regia; entrambe attraversano la giornata del compleanno di Sara scandendo il tempo che scorre, fra sfondamenti della quarta parete, film e disegni proiettati, discussioni impossibili, litigi che si svolgono su diversi piani emotivi, ascolti falliti e silenzi ostinati in cui i molteplici linguaggi utilizzati traghettano lo spettatore dentro passaggi di poesia, di speranza, di disperazione per approdare alla sola realtà possibile, che non è né bella né brutta, è solo ciò che è.
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